Contemporanea

Ginevra Leganza

2.5 Imparare di nuovo a scrivere

Dalla sfera privata al mondo del lavoro, il digitale ci accompagna tutti. Gestione del traffico, selezione del personale, pubblicità, suggerimenti nei siti di commercio elettronico, assistenti vocali di Google, Apple e Amazon: sono solo alcuni degli ambiti in cui l’intelligenza artificiale già si esprime. Tutti noi, non solo i più giovani, viviamo e conviviamo con lei. Talvolta senza saperlo, o senza rendercene conto, considerando l’AI alla stregua di una “piccola percezione”, di un rumore di sottofondo, fintanto che essa ha sempre più presa sulle nostre esistenze.

Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, attraverso i suoi canali di ricerca, si propone di mettere a fuoco queste “piccole percezioni”: di spiegarle e capirle da vicino. Il progetto di ricerca 2030-2040 Futuri Probabili, coordinato da Marco Casu – attraverso un dialogo intergenerazionale tra giovani studenti ed esperti – indaga gli usi, i costumi nonché le prospettive in termini scientifici dell’innovazione tecnologica in vari campi del sapere. E lo fa a partire dai giovani e giovanissimi (oltre 700 ragazzi e ragazze sono stati intervistati su tutto il territorio nazionale). Perché se è vero che tutti noi siamo “animali digitali” – tutti coinvolti nell’uso, più o meno consapevole, dei nuovi strumenti tecnologici – alcuni di noi sono più digitali degli altri. E si tratta appunto dei cosiddetti nativi.

Nella seconda edizione del Rapporto dell’Osservatorio su Innovazione e Digitale, “Giovani, innovazione e transizione digitale”, si evince come gli under 35 colgano nell’AI il senso stesso del futuro: lo ritiene il 20 per cento dei giovani intervistati contro il 10 per cento degli italiani più adulti, appartenenti ad altre generazioni. Nel frattempo, altre ricerche, come quella condotta dalla start up DigitAlly, su una rete di cinquanta aziende partner, mostrano come nei settori più tradizionali del mondo aziendale – da quello energetico all’alimentare – siano diventate imprescindibili le competenze digitali a partire dai profili junior, e come i comparti in cui si ha maggiore richiesta di capitale umano siano Data Analysis ed E-commerce.

Questi dati ci riportano a una considerazione: dal momento che tutti siamo digitali, e i giovani più degli altri, abbiamo oggi ragione di credere che il nerd non sia – e non debba più essere – una figura di confine. Non più il ragazzo marginalizzato o emarginato, e neppure uno Zuckerberg in erba, quanto piuttosto un protagonista indiscusso della nostra epoca. Nerd sono oggi persone comuni che si appropriano, più o meno consapevolmente, dello strumento-ambiente digitale. E per mettere a fuoco questo cambio di paradigma, fra intelligenze artificiali e multiversi, basti pensare – oltre l’AI – anche alla grande galassia del Gaming, con cui quest’ultima può intersecarsi. Il Gaming assume infatti i caratteri del cosiddetto Web 3: dell’Internet immersivo e disintermediato. Quel che sappiamo è che questo comparto ha da tempo superato il mercato complessivo del cinema e della musica, coinvolgendo in tutto il mondo circa tre miliardi di utenti-giocatori: un universo di nerd. I quali giocano in modo diverso che nel passato: replicando i modi d’interazione social, scambiandosi informazioni e dati personali (dai compiti scolastici alle coordinate per appuntamenti nel mondo fisico). E lo fanno per mezzo di avatar, ricalcando le linee che gli esperti ritengono alla base del Metaverso (non è un caso i multiversi più visitati siano proprio i mondi virtuali di videogioco come Fortnite e Minecraft, seguiti da Roblox, Second Life e The Sandox). I più giovani, dunque, pur non conoscendo nei dettagli, e talvolta neppure in superficie, Metaverso e intelligenza artificiale, ne sono immersi inconsapevolmente: li considerano il futuro. Ed è un tema, quello dell’inconsapevolezza, che vale la pena affrontare dal momento che il digitale, nel suo complesso, si configura oggi come nuovo ambiente dell’umanità. E quelli che abbiamo chiamato “nuovi nerd” non sono più, oggi, una élite, ma la preponderante parte della popolazione – soprattutto giovanile – che vive nel digitale senza per questo conoscerne i meccanismi. O se non altro i rischi e le potenzialità.

Digitale e AI sono oggi pervasivi. L’utilizzo che se ne fa è talmente ampio che il loro uso corretto potrebbe essere paragonato a un buon uso dell’alfabeto. In altre parole: come nella storia individuale di ciascuno, e nella storia di una civiltà, c’è un momento in cui si parla e si comunica in una lingua senza che si conosca l’alfabeto o si codifichi la grammatica, così oggi usiamo il digitale senza coglierne appieno rischi e potenzialità. Secondo la relazione Skills Outlook 2019, elaborata dall’OCSE, solo il 36% della popolazione italiana è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa. Per questa ragione gli analisti parlano di analfabetismo digitale “relativo”, proprio di chi non sappia interpretare e comprendere in modo critico le informazioni ricavate da Internet; a questa stessa categoria appartiene poi chi ignora i “termini del digitale” ovvero le nuove parole corrispondenti ai nuovi sviluppi (“avatar” ne è oggi un esempio). Ed è dunque evidente come col passare del tempo chiunque – siano pure gli esperti o i nativi della rete, i nuovi nerd – possa diventare analfabeta “relativo”, considerata la rapida evoluzione dei sistemi di Internet.

Oggi usiamo il digitale senza coglierne appieno rischi e potenzialità.

Un’educazione digitale di buon livello, pertanto, non può che essere urgente, strutturale, costante e in continuo aggiornamento. È il lifelong learning che, anche in questo caso, Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine ha posto al centro dei propri obiettivi col progetto “Pedagogia digitale”: un percorso che, attraverso la formazione dei formatori, ossia dei docenti della scuola primaria, ponga attenzione su rischi e potenzialità del web e dei nuovi strumenti digitali. Strutturare e diffondere conoscenza circa la cybersafety – la salute delle persone-utenti, a partire dai giovanissimi – è essenziale per un rapporto consapevole con l’ambiente digitale. Perché il digitale è un ambiente e, come tale, è anche una nuova lingua: condiziona l’accesso a qualsiasi settore, a qualsiasi relazione. Ed ecco che imparare a scrivere e ben parlare questa lingua, riconoscendone gli usi impropri, è un primo indispensabile passo verso una “civiltà del digitale”.

Ginevra Leganza

Laurea in Filosofia presso l’Università di Padova, è ricercatrice presso Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine. Scrive su Il Foglio e L’Espresso.