Contemporanea

Antonella Sciarrone Alibrandi

1.4 Il test dell’Unione bancaria

Nell’ambito del processo di integrazione europea in materia economico-finanziaria, il progetto dell’Unione bancaria e, in particolare, l’introduzione nel 2013 del Meccanismo Unico di Vigilanza sulle banche e del Meccanismo di Risoluzione Unico (SRM), chiamato a intervenire in caso di crisi bancarie, costituisce, dopo l’Unione monetaria, uno dei punti di sintesi maggiormente avanzati e un inedito modello di integrazione fra authorities.

Giova ricordare che un risultato così innovativo – che trasferisce alla Banca Centrale Europea, sia pure in rete con le Autorità nazionali di vigilanza, i poteri di supervisione sulle banche – si è potuto conseguire solo perché, di fronte alla crisi finanziaria globale del 2008 e dei debiti sovrani che, nel giugno 2012, aveva messo a rischio la stessa tenuta della moneta unica, era diffusa la percezione che, senza strumenti adeguati a gestire la crisi e a condividere i rischi a livello finanziario, la stessa sopravvivenza dell’Unione monetaria potesse essere messa in discussione. Diverse banche europee erano state severamente colpite dalla crisi e alcune avevano richiesto il salvataggio da parte dei governi per rimanere a galla.

Mossi da questa paura si è trovato il modo – e con una rapidità di tempi davvero sorprendente rispetto agli standard della produzione legislativa europea – di raggiungere il consenso attorno a un crescendo di misure culminate nell’adozione di forme stabili di regolazione e di cooperazione sul piano della supervisione, con le dichiarate finalità di: a) accrescere la solidità del settore bancario e la sua capacità di prevenire e fronteggiare eventuali crisi future; b) adottare criteri omogenei in materia di vigilanza, risanamento e risoluzione delle banche; c) evitare il salvataggio delle banche in difficoltà con oneri a carico delle finanze pubbliche (cd. bail out); d) rafforzare la stabilità finanziaria europea.

Allargando un po’ lo sguardo, è facile peraltro osservare come tutte le più significative decisioni assunte negli ultimi decenni in Europa in materia economico-finanziaria (a livello sia di regolamentazione sia di iniziative di carattere operativo) si configurano come reazione a vicende, esogene ed endogene al mondo finanziario, verificatesi in una sequenza abbastanza impressionante dal 2007 in avanti: grande crisi finanziaria, crisi dei debiti sovrani, pandemia, guerra russo-ucraina e conseguenti tensioni geopolitiche con il concreto rischio di un abbandono del multilateralismo e ritorno alla politica dei blocchi. A mo’ di esempio, oltre alla creazione dell’Unione bancaria basti pensare al consenso che, in considerazione di contingenze straordinarie e imprevedibili, è stato raggiunto a proposito di altre due questioni estremamente controverse in passato. Innanzitutto, la sospensione fino alla fine del 2023 del Patto di stabilità e crescita – ovvero le regole sui bilanci pubblici degli Stati –, prima dell’avvento della pandemia considerato per principio invalicabile; inoltre, l’emissione di Eurobond, vale a dire un’obbligazione garantita in solido da tutti gli Stati membri dell’Eurozona e tradizionalmente osteggiata da alcuni Paesi in quanto ritenuta un meccanismo solidale di distribuzione dei debiti a livello europeo, attuata per fronteggiare la disoccupazione nella pandemia (Surebond) e per finanziare i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza.

Non a caso i grandi Padri dell’Europa erano in maggioranza di provenienza cattolica.

Ritornando più nello specifico all’Unione bancaria, non vi è dubbio che essa si sia dimostrata un pilastro fondamentale nella miglior tenuta delle banche europee non solo durante la pandemia ma anche rispetto alle recenti crisi determinatesi negli Stati Uniti e in Svizzera, assicurando una maggiore solidità del sistema grazie al rispetto di requisiti e parametri quantitativi (requisiti patrimoniali, indici di liquidità e quadro regolamentare sui tassi di interesse) e, più in generale, grazie ad una accresciuta capacità degli assetti di governance delle banche di garantire un’adeguata gestione dei rischi.

A distanza di dieci anni dalla sua ideazione, non si può tuttavia omettere di considerare, in modo critico, che attorno al progetto dell’Unione bancaria non si sia ancora riusciti a trovare – sul piano politico – il consenso sufficiente a consentirne, per un verso, il necessario completamento e, per un altro, una revisione rispetto ad alcune scelte normative che, alla prova dei fatti, si sono rivelate inadeguate. Più nello specifico, sotto il primo profilo, il riferimento va alla permanente mancanza, a livello europeo, di meccanismi di condivisione dei rischi finanziari non essendo stati capaci di trovare un accordo per rendere operativo un sistema comune di assicurazione dei depositi bancari (European Deposit Insurance System EDIS). Sotto il secondo profilo, ci si riferisce, invece, al quadro di gestione delle crisi bancarie, definito dalla troppo affrettatamente approvata direttiva sul risanamento e risoluzione delle banche (BRRD) che oggi necessita di essere sottoposta a una attenta rivalutazione, non solo per quanto riguarda i meccanismi di gestione delle banche di medio-piccole dimensioni non sottoponibili a risoluzione, ma anche rispetto alla rigidità e complessità dei meccanismi di risoluzione oggi vigenti.  

Lo stato dell’arte dell’Unione bancaria sembra mettere in luce l’esistenza di un non equilibrato e pienamente razionale rapporto fra tecnica (che rappresenta l’elemento prevalente nell’assetto attuale della governance dell’Unione bancaria) e politica (ovvero l’esito, in termini di risposta alla crisi economico finanziaria, prodotto dalla dialettica fra Parlamento, Commissione, Consiglio e singoli Stati membri). E se è solo nel miglioramento di questo rapporto che risiede la chiave di volta per l’avanzamento verso un’integrazione ancora più compiuta del progetto europeo, sembra d’altro canto crescente una mancanza di fiducia (generata da egoismi, particolarismi, interessi nazionali perseguiti in modo esclusivo) che rischia di incrinare ancora di più la fisionomia di una “Europa casa comune”. Bisogna prendere atto che gli obiettivi che l’Unione aveva fissato per attuare misure oppositive al manifestarsi di shock finanziari sono stati sino ad oggi realizzati in misura solo parziale e che un efficace ed efficiente cappello protettivo in grado di arginare turbolenze significative a livello economico-finanziario non è più rimandabile, né tuttavia perseguibile senza un’iniziativa della politica che vada a fondo dei problemi irrisolti e si adoperi per avviare una fase davvero nuova.

Occorre innanzitutto modificare il Patto di stabilità e crescita.

Rispetto a questo scenario non va, però, dimenticata quella matrice culturale e politica, ben presente nel percorso di costruzione dell’Unione Europea, che, a partire dal pensiero sociale della Chiesa, ha dato forma a un’UE non di segno statalista (a sovranità popolare centralizzata) bensì espressiva del concetto di “federalizzazione della società”. Non a caso i grandi Padri dell’Europa erano in maggioranza di provenienza cattolica – basti pensare a Robert Schuman, a Konrad Adenauer, ad Alcide De Gasperi e, ancor prima, a Jacques Maritain – e volevano evitare la riproposizione a livello continentale del modello nazionale di Stato sovrano centralizzato, costruendo invece regole e procedure in grado di organizzare le istituzioni della società civile interna agli Stati europei in modo da operare con il supporto delle amministrazioni sia regionali e sia locali.

Ora, a distanza di decenni, in un mondo che ha conosciuto la globalizzazione e sta già cominciando a vederne i limiti, che permane alquanto instabile sia in ambito economico che finanziario e in cui si sono creati blocchi di Stati membri diffidenti gli uni degli altri e quindi non in grado di compiere scelte idonee a evitare il rischio della disaggregazione, il futuro dell’Europa ha bisogno più che mai di realizzare quell’unione federale che avevano in mente i Padri fondatori.

Come si è accennato più sopra, ci aspettano una serie di scelte importanti da prendere in ordine alla nuova governance economica e finanziaria dell’Unione europea. Occorre innanzitutto modificare il Patto di stabilità e crescita che è congelato fino alla fine del 2023 (a causa della pandemia prima e della guerra in Ucraina dopo) e sulle cui proposte di riforma è già in atto una vivace discussione tra la Commissione e alcuni Stati. È stata poi appena presentata una proposta di revisione della normativa sulle crisi bancarie (la BRRD adottata nel 2014 come pronta risposta alla crisi) che mira ad estendere anche alle banche di media dimensione le regole sulla risoluzione che implicano un bail in, sino ad oggi applicate solo alle banche più grandi.

Più in generale, un’accurata analisi dell’adeguatezza dell’attuale quadro istituzionale che presiede alla stabilità dei mercati finanziari – sia in termini di regole, che di vigilanza e di strumenti di gestione delle crisi – deve urgentemente essere inserita nell’agenda della prossima Commissione europea.

Qualcosa di molto differente da una visione statalista del processo di integrazione sostenuta da quanti ambirebbero ancora a costruire una sorta di sovranità statale a Bruxelles, ma anche dalle convinzioni di coloro che, preoccupati da non erodere ulteriormente le sovranità nazionali dei Paesi membri, punterebbero a una semplice “associazione” di Stati europei. Anche in ambito finanziario, l’UE ha bisogno di capacità istituzionali al centro ma anche di Stati membri dotati della loro forza istituzionale.

Antonella Sciarrone Alibrandi

Professoressa ordinaria di Diritto dell’economia nella Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Osservatorio sul debito privato presso la medesima università. È membro dell’Academic Board dello European Banking Institute (EBI) e del Consiglio direttivo di AEDBF Italia. È stata membro dell’Expert Group ROFIEG (Expert Group on Regulatory Obstacles to Financial Innovation) della Commissione Europea presso DG Fisma. Le sue pubblicazioni scientifiche riguardano il diritto bancario e dei mercati finanziari, l’inclusione sociale e la regolazione dell’innovazione.