Contemporanea

Wael Farouq

1.5 Lo sguardo dell’altra sponda

La visione che gli arabi hanno dell’Europa è dominata da una serie di dualismi: amore e odio, paura e ammirazione… L’Occidente appare al tempo stesso come sfruttatore e benefattore, rifugio e minaccia, a causa dell’aspra relazione instauratasi fra il mondo orientale e occidentale. L’alba del rinascimento arabo è sorta al ritmo dei cannoni di Napoleone, nel 1798. Gli arabi hanno creduto in libertà, fraternità e uguaglianza, bruciando nel fuoco di quella modernità. La scienza, le leggi, i sistemi economici e politici, la moderna civiltà… gli arabi hanno ricevuto tutto questo dalle mani del colonizzatore europeo, le cui pratiche, nei loro Paesi, possono per lo meno essere definite barbare.

Il contesto storico non ha solo dato forma alla visione che gli arabi hanno dell’Europa, ma anche a quella che hanno di sé stessi e del futuro delle loro società, rimaste prigioniere, fino a oggi, di un altro dualismo: tradizione e modernità. Il conflitto fra sostenitori della modernità e sostenitori della pura identità è diventato «il fulcro del pensiero arabo moderno e la fonte del suo fondamentale dialogare. La storia della cultura araba moderna è la storia dell’evoluzione di questo conflitto, del suo mutare forma e del suo continuo risorgere. Questo conflitto è base e punto di partenza di qualsiasi presa di posizione, da parte di qualsiasi individuo o corrente, rispetto all’Occidente, alla cultura, alla religione, alla scienza, al potere, o al futuro», secondo il pensatore siriano Burhan Ghalioun.

Questa contrapposizione riflette la profonda lacerazione e tensione della coscienza araba contemporanea, che ha fatto svanire la fiducia in un discorso arabo capace di assumersi l’onere della rinascita e dello sviluppo: «I concetti contenuti nel discorso arabo moderno e contemporaneo non rispecchiano la realtà araba attuale, né le danno voce. Il più delle volte sono prestiti del pensiero europeo, nell’ambito del quale, là in Europa, si riferiscono a una realtà realizzata o in via di realizzazione; oppure sono prestiti del pensiero arabo-islamico medievale, quando avevano un contenuto reale specifico, o così si pensa. In entrambi i casi, sono utilizzati per esprimere una realtà sperata, indefinita, decadente, presa da questa o quella realtà modello che abita la coscienza/memoria araba. Ne consegue la rottura della relazione fra il pensiero e il suo oggetto, cosicché il discorso che dovrebbe esprimerlo diventa un discorso di citazioni, non di contenuti», secondo il pensatore marocchino Mohammed Abed al-Jabri.

L’atteggiamento diffidente e disorientato degli intellettuali arabi nei confronti dell’Occidente si ritrova nei loro scritti. Kamal, protagonista della trilogia del premio Nobel Naguib Mahfouz, di giorno manifesta contro gli inglesi e di notte legge gli scritti dei filosofi europei. La problematica affrontata dagli intellettuali arabi, sin dal loro primo incontro/scontro con l’Europa, è che quest’ultima rappresenta sia la malattia, sia la cura.

Questa contrapposizione riflette la profonda lacerazione e tensione della coscienza araba contemporanea.

Nel romanzo arabo, nelle memorie e nei diari, si può notare una molteplicità di vedute. La visione che l’arabo ha dell’Occidente può essere ricondotta a quattro atteggiamenti. Nella fase precoloniale, stupore e paura. Nella fase coloniale, condanna e ammirazione per la cultura occidentale. Nella fase postcoloniale, due atteggiamenti diversi: dapprima la fiducia in sé stessi, poi la frustrazione, la delusione e il ritiro in sé stessi. Sia l’ammirazione sia la condanna dell’Occidente sono canalizzate da uno strumento artistico occidentale: il romanzo. È interessante notare che, sebbene gli arabi abbiano fallito nel realizzare la modernità materiale e intellettuale, il vero ambito in cui essa ha influenzato la loro coscienza è la letteratura, tuttora dominata dai tre modi di vedere l’Europa tipici dei secoli passati: rifiuto, imitazione, oppure conciliazione e selezione.

All’inizio del XIX secolo, i più grandi scrittori arabi sono Abd al-Rahman al-Jabarti (Storia dell’Egitto), Khayr al-Din al-Tunsi (La via più sicura alla conoscenza della condizione dei paesi), Rifa‘a al-Tahtawi (L’oro di Parigi) e Ahmad Faris al-Shidyaq (Alla scoperta delle arti d’Europa). Essi contrappongono l’Oriente pieno di mali e arretratezza al progresso europeo, guardando all’Occidente come a un modello da seguire.

Questa visione cambia quando i paesi arabi sono soggetti al colonialismo. L’Europa è vista attraverso questa lente, non più dalla prospettiva delle sue conquiste culturali e intellettuali. L’intellettuale arabo è ora diviso fra l’ammirazione per tutto ciò che è occidentale e la paura e il disorientamento, fra l’identificazione con tutto ciò che è europeo e la condanna del colonialismo. Un esempio è il celebre scrittore egiziano Yousuf Idris, con la sua posizione confusa nei riguardi dell’Europa, poiché se da un lato avrebbe voluto essere nato europeo, dall’altro non voleva rinunciare alla sua arabità.

Questa confusione ha segnato le opere fondanti della letteratura araba moderna, specialmente quelle di Tawfiq al-Hakim (Passero d’oriente e Il ritorno dello spirito), Yahya Haqqi (La lampada di Umm Hashim) e prima ancora quelle di Jurji Zaydan, Muhammad Hussein Haykal, Taha Hussein, Ahmad Amin, Louis Awad e Suhayl Idris. Negli scritti di questa generazione, il risentimento e la confusione hanno sostituito l’ammirazione. Il loro sguardo non è più così semplicistico come prima.

Nel periodo postcoloniale, gli scritti si discostano dai tentativi di scrittori come Tawfiq al-Hakim, che aveva provato a costruire una visione diversa, presentando l’Oriente come luogo dello spirito, della religione e della moralità, in contrapposizione all’Occidente materialista. Il sé arabo, ora, sembra fiducioso, in posizione paritaria, capace di esprimere sé stesso di fronte all’Altro occidentale, per esempio nei lavori di Yousuf Idriss o Tayyeb Saleh (La stagione della migrazione al nord).

Presto, però, la fiducia in sé si trasforma in una visione modesta di sé. Lo scrittore arabo passa all’autocritica e scompaiono i primi temi dell’incontro sessuale, dell’Occidente decadente e materialista, in contrasto con la purezza, castità, spiritualità e romanticismo dell’Oriente. Nelle opere di Sulayman Fayyad, Hanna Mina, Yasin Rifa‘iyya, Abdel Hakim Qasim e Baha Taher si cerca di distinguere fra l’Occidente colonialista e il suo apparato scientifico e intellettuale. Questi scrittori arabi, in gran parte della loro produzione letteraria, non disumanizzano l’Occidente, al contrario di quanto succedeva negli scritti orientalisti. Lo scrittore che tende a distinguere tra ostilità all’Occidente e ostilità all’occidentalizzazione ritiene anche che l’incontro/scontro tra i due mondi non sia basato su una differenza di concetti, ma di interessi. La scrittura araba sull’Occidente, iniziata con l’ammirazione e proseguita poi con il risentimento e la frustrazione, diventa un viaggio alla ricerca dell’ideale occidentale.

La stessa cosa vale per le esperienze artistiche di molti arabi in Occidente, che cercano modi di trarre ispirazione dal modello occidentale per adattarlo o rappresentarlo nella vita orientale. Va osservato che generazioni di scrittori arabi potrebbero dirsi tradite dall’Occidente, eppure hanno continuato a cercarlo.

La domanda ora è se questa ricerca sia ancora utile, visto che l’Occidente ha tradito il suo stesso ideale, con politiche volte solo a interessi materiali ristretti, portando l’Oriente a separarsi del tutto dall’Occidente e a rinunciare a una parte di sé.

Sia l’ammirazione sia la condanna dell’Occidente sono canalizzate da uno strumento artistico occidentale: il romanzo.

Gli europei continuano a fuggire dal loro passato, mentre i musulmani continuano a fuggire verso il loro passato. Quale presente potrà riunirli, allora?

Due guerre mondiali hanno lasciato una profonda ferita nella coscienza europea, sicché ogni tentativo di definire un significato per la vita, l’essere umano, la società o la storia è sentito come un’esclusione nei confronti di tutto ciò che resta fuori, cosa che potrebbe minacciare il pluralismo e far ricadere nell’inferno della guerra. Sono cadute le grandi narrazioni: la religione, l’ideologia e infine la scienza. Ognuno ha dovuto creare la sua piccola narrazione che, tuttavia, non facendo spazio ad altri, nasce morta. L’unica traccia lasciata da questa piccola narrazione sono un po’ di pollici alzati e di faccine sorridenti o tristi sui social network. Ogni “qualità” umana è oggettificata e trasformata in una “quantità” di segni che non consentono alla nostra piccola narrazione di trasformarsi in grande narrazione, lasciandola prigioniera di un modello ripetuto all’infinito.

Sull’altra sponda, il colonialismo e la subordinazione politica, economica e culturale hanno lasciato nella coscienza araba una ferita profonda, sicché ogni tentativo di generare un significato per la vita, l’essere umano o la società è visto come un’ulteriore umiliazione e una minaccia alla purezza delle origini, divenuta l’unica opzione cui ricorrere per lavare via l’onta di amare il carnefice e somigliargli. “Le origini” sono diventate la grande narrazione che ha ingoiato le piccole narrazioni, impedendo loro di generare significato. Come si può generare significato, se tutto ciò che si fa è un’eterna ripetizione delle mitiche origini?

La civiltà occidentale, oggi, somiglia a un uomo che sceglie di castrarsi per non generare un figlio malvagio. La civiltà islamica, invece, sembra un uomo che uccide tutti i figli non somiglianti a un padre che non ha mai visto. L’Occidente mente a sé stesso, dicendosi che non ha bisogno di figli e non gli importa del futuro. L’Oriente mente a sé stesso, pensando che somigliare a un padre assente possa invertire la direzione del tempo. L’Occidente mente agli altri, tentando di convincerli che i suoi nobili valori non hanno né radici né storia. L’Oriente mente agli altri, tentando di convincerli che i suoi nobili valori sono ancora vivi e non, invece, una mera maschera che nasconde la decadenza morale e la degenerazione umana.

Passati due secoli, non siamo ancora usciti dal dilemma ben descritto da Kamal, il personaggio di Mahfouz, quando dice che il suo cuore si infiamma per la rivoluzione contro gli inglesi, ma di notte vive un forte legame di umanità con loro di fronte al mistero del destino umano.

Wael Farouq

Professore associato di Lingua e Letteratura Araba nella Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano. È stato docente presso l’Università Americana del Cairo, la Facoltà Cattolica di Teologia del Cairo e Fellow presso lo Straus Institute for the Advanced Study of Law and Justice, New York University. È autore di saggi su lingua e letteratura araba, pensiero islamico contemporaneo, immigrazioni e dialogo interreligioso. Dal 2014, dirige il Festival internazionale della lingua e della cultura araba che si svolge annualmente a Milano.